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UNA POLITICA ECONOMICA E FINANZIARIA GLOBALE INEFFICACE PER LO SVILUPPO
La cultura economica occidentale, mentre subisce contraccolpi quotidiani dalla globalizzazione finanziaria, concentra la sua attenzione sulle difficoltà che il commercio internazionale delle merci sta creando al mercato del lavoro e alle politiche sociali.
I Governi occidentali sono concentrati sulla congiuntura internazionale collegata alle delocalizzazioni industriali e al subappalto delle produzioni, che inaspriscono le disuguaglianze, soprattutto tra generazioni, e minano il già instabile equilibrio di forme di concertazione sociale raggiunte con anni di duri confronti tra le Parti Sociali e i Governi.
Le azioni governative messe in atto sono proposte politiche che si possono definire a “macchia di leopardo”, con interventi di diversa caratura tra uno Stato e l’altro, che incidono con valenze diverse a secondo dei settori, pur richiamandosi gli stessi Stati a identici principi e valori, e avendo gli stessi obiettivi strategici.
La prima discrasia della globalizzazione finanziaria è da individuare nelle modalità operative della stessa, dove, degli imprenditori in grado di raccogliere capitali e di ridistribuire il rischio invece di andare ad investire nei Paesi ad alta disoccupazione, accelerando così la crescita del PIL mondiale e il conseguente allargamento del mercato, si sono messi a finanziare il debito pubblico delle nazioni considerate ricche.
Questa situazione è sostenuta dall’eccesso di risparmio accumulato dai Paesi asiatici emergenti e da quelli produttori di petrolio, gli stessi che hanno favorito la bolla edilizia americana e la continua evoluzione e espansione dei prodotti derivati.
La finanza internazionale non è più sotto il controllo delle Banche Centrali ma di una banca mondiale ombra che non ha regole. Gli Stati da decisori di politiche economiche sono ridotti a “strutture di pronto soccorso” impegnate quotidianamente ad attutire i danni.
Riguardo alla situazione italiana è necessario un attento esame di coscienza da parte delle classi dirigenti che dovrebbero smettere di dichiarare che “i mercati si comportano in modo efficiente; l’auto-regolamentazione funziona molto bene; l’innovazione finanziaria trasferisce il rischio a coloro che sembrano in grado di sostenerlo nel modo migliore; l’interventi degli Stati non hanno alcuna efficacia, anzi possono essere dannosi”.
La classe politica italiana deve tener presente che: i mercati sono inclini a subire le bolle speculative; l’eccessivo indebitamento pubblico non regolamentato crea un rischio sistemico; la mancanza di trasparenza mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Stante questa situazione gli Stati debbono riprendersi “le redini” del sistema globale dei mercati e della finanza, considerato che gli Organismi preposti al controllo sono inefficaci.
Come Italia, insieme ad altri Stati mediterranei, paghiamo le conseguenze di un mercato mondiale con una “governace” carente dovuta ad una mancanza di una democrazia globale in grado di coniugare lo squilibrio di potere esistente tra l’ambito nazionale dei Governi e la natura globale dei mercati.
06 Giugno 2012.