
Elite e fallimento etico nella seconda repubblica
ELITE E FALLIMENTO ETICO NELLA SECONDA REPUBBLICA
Lo sbandamento morale, sociale ed economico del Paese Italia è sotto i nostri occhi tutti i giorni, questo risultato ci permette di prendere atto del fallimento del progetto della Elite che ha guidato il Paese nella cosiddetta seconda Repubblica. Il tentativo di dar vita ad una democrazia individualistica, avulsa dai principi morali e dai comportamenti eticamente orientati, in nome di una ipotetica uguaglianza, ci ha portato all’egualitarismo di facciata, e sta dimostrando che non può esistere coscienza sociale fondata su una somma di “io autonomi” finalizzati al sostegno di soli interessi economici particolari.
Questa visione politica sta dando vita all’uomo incompiuto, avulso da quello che lo circonda e non lo tocca da vicino, un uomo non più interessato e non in grado di partecipare alla costruzione del bene comune.
La conseguenza più grave di questo modo di vivere sta nel fatto che si sta facendo strada la convinzione che vivere rettamente sia inutile.
Un altro aspetto di questo modo di vivere è nella testimonianza di un laicismo radicale, di un uomo che non ha bisogno di nessuno, che non cerca la luce e che vuole relegare la religione nella sfera del privato, negando ad essa una dimensione metafisico/sociale indispensabile alla convivenza, anzi accusandola di indebolire pericolosamente la civiltà occidentale.
La concezione che ogni persona possa costruirsi una propria verità, sulla base dei propri convincimenti ed esperienze, sta dimostrando tutti i suoi limiti proprio sul terreno della convivenza e dei rapporti interpersonali, non è neanche accettabile la visione di quella società post moderna, definita “liquida”, dove ciascuno ha un proprio modo di intendere il bene comune.
Il disagio che viviamo ci fa tornare alla mente il monito di don Luigi Sturzo, “che la madre di tutte le crisi è spirituale”.
Una Elite storicamente è una minoranza che presenta un progetto ad una maggioranza evidenziando i vantaggi che tutti possono trarre dalla sua attuazione.
Questa Elite ha fallito il suo progetto di società, sta rendendo più poveri milioni di cittadini che in alcuni decenni erano riusciti ad emergere socialmente ed economicamente.
Per ritrovare il senso e la passione della convivenza è necessario tornare alla forza ispiratrice e critica del “bene comune”.
Il Concilio Vaticano II ha definito il “bene comune” come “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono, sia alle collettività che ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente” (Gaudium et spes, n. 26). Il servizio del “bene comune” implica, dunque, la responsabilità e l’impegno per la realizzazione piena di tutti e di ciascuno come condizione fondamentale dell’agire politico. Questo è possibile solo se il “bene comune” non è la semplice risultante della spartizione dei beni disponibili, ma un obiettivo cui tendere in cui ciascuno spende i “propri talenti”.
E’, inoltre, sbagliata l’idea che il “bene comune” sia raggiunto nelle sue forme concrete una volta per tutte, al contrario, è da ricercarlo sempre nelle forme possibili a seconda delle diverse situazioni storiche che si vivono.
L’impegno per il “bene comune” è allora piuttosto uno stile di vita, un agire caratterizzato da alcune scelte di fondo, da richiedere a chi è impegnato o voglia impegnarsi in politica, con l’augurio che la riforma dell’attuale sistema elettorale torni a dare ai cittadini la facoltà di scegliere le persone sulla quali fare affidamento.
Come Popolari Glocalizzati riteniamo che sia indispensabile tenere comportamenti consoni al raggiungimento del bene comune, in primo luogo l’impegno per l’etica pubblica e la morale sociale deve essere indissociabile dall’impegno etico sul piano personale:
· Va rifiutata la logica della maschera, che coniughi “vizi privati e pubbliche virtù”. Questo comporta il riconoscimento del primato della coscienza nell’agire politico e il diritto di ciascun rappresentante del popolo all’obiezione di coscienza su questioni eticamente rilevanti, ma vuol dire anche che la credibilità del politico andrà misurata sulla sobrietà del suo stile di vita, sulla generosità e costanza nell’impegno, sulla fedeltà effettiva ai valori proclamati.
· Nello stesso tempo il politico deve essere vicino alla gente che lo ha eletto, ascoltarne i problemi, farsi voce delle istanze di giustizia di chi non ha voce e sostenerle. I politici non debbono essere al servizio del “padrone di turno”, ma del popolo. Lo Stato sociale, l’istruzione e la tutela della salute per tutti, non sono una conquista opinabile, ma valori irrinunciabili, da tutelare e migliorare liberandoli da sprechi e assistenzialismi che non servono ai cittadini comuni.
· In terzo luogo, la dialettica politica andrà sempre subordinata alla ricerca delle convergenze possibili per lavorare insieme al servizio del “bene comune”: corresponsabilità, dialogo e partecipazione vanno anteposti a contrapposizioni preconcette o a logiche ispirate a interessi personali o di gruppo. Il “bene comune” va sempre preferito al proprio guadagno o a quello della propria parte politica.
· In quarto luogo, nel servizio al “bene comune” occorrerà saper accettare la gradualità necessaria al conseguimento delle mete: la logica populista del “tutto e subito” ha spesso motivato promesse non mantenute, quando non la violenza e l’insuccesso di cause anche giuste.
· Occorre puntare al fine con perseveranza e rigore, senza cedere a compromessi morali e ritardi ingiustificati e senza mai ricorrere a mezzi iniqui.
Il non rispetto di questi cinque punti appena enunciati dimostra il fallimento di questa élite che ha gestito la seconda Repubblica, che cerca, attraverso “l’occupazione militare” dei mezzi di comunicazione o attraverso spettacoli guidati da canovacci ideologici o modelli di costume, di far passare presso l’opinione pubblica false tematiche politiche e sociali che niente hanno a che fare con il vivere quotidiano e con il problemi che le persone debbono affrontare ogni giorno.
Questa élite tramite i mezzi di comunicazione ha provato a ricreare delle corti da presentare come modello al popolo, tipo regno di Francia, ma ha dimenticato che tale modello portò alla rivoluzione francese e al regime del terrore.
In una società dove i nuovi media garantiscono la comunicazione necessaria a salvaguardare la democrazia, bisogna cominciare a domandarsi se è ancora valido pagare un canone televisivo per garantire alla élite di perpetuare le sue sceneggiate.
16 Maggio 2011.