Corrado Tocci

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DAI GIOVANI DI MADRID E NEW JORK UNA RICHIESTA DI MORALITA’

La comunicazione “ufficiale” controllata dai Governi e dai “detentori” delle borse cerca di minimizzare la contestazione pacifica, che decine di migliaia di giovani stanno portando avanti contro l’attuale sistema socio-economico.

Si arriva al paradosso di alcuni esponenti politici americani che rispolverano il vecchio maccartismo con la speranza di distogliere l’attenzione dei cittadini dalla serietà delle tematiche che questi giovani portano avanti con l’unico obiettivo di avere gli stessi diritti di cittadini come i loro padri.

Sicuramente la strategia dei poteri forti non potendo attirare l’attenzione dei cittadini americani sul nemico di turno, attraverso una nuova guerra, certamente individuerà nuovi nemici interni sui quali focalizzare l’opinione pubblica con il supporto dei mezzi di comunicazione.

Per capire il futuro prossimo è importante capire le esigenze delle nuove generazioni e come queste sono state messe all’angolo da un neoliberismo ottocentesco globalizzato.

A prima vista potrebbe sembrare che questi giovani rifiutano il progresso, ma ascoltando i loro slogan e leggendo i loro cartelli ci si rende conto che non rifiutano il progresso autentico, essi rifiutano il falso progresso, la religione del nuovo progresso, amante degli squilibri, fautrice della corsa a nuovi possessi.

Le nuove generazioni chiedono di elevare “il tasso medio di umanità”, per evitare che si perpetuino miti ingannevoli di cui si circonda il potere o i poteri.

Il mito del benessere a tutti i costi è stata la frontiera ingannevole su cui è caduta la dignità umana, il senso della vita, i rapporti umani.

E’ stata la scuola dei desideri, per cui ad ogni desiderio ne seguiva un altro fino ad una specie di insaziabile volontà di possesso.

Quel mito è stata la sconfitta dell’umano e l’esaltazione dell’avere. La civiltà non viene misurata dai valori ma dalla quantità, dall’egemonia dei mezzi.

Questa domanda di moralità da parte dei giovani che sfilano è una proposta alla politica per invitarla a liberarsi da questa moderna forma di machiavellismo che promuove una prassi ben lontana dall’etica e cera di coprire tutti i compromessi nei quali è caduta.

La giustizia non può che essere umana, non solo in senso soggettivo ma anche in senso universale ed è su questo fondamento che può sorgere una comunità di uomini liberi, non sudditi inerti, indifesi, in fuga.

Una casa non è solo una necessità perché senza un tetto non si può vivere, ma serve per creare un ambiente dove si apprendono le prime lezioni di vita, si educa alla “coltivazione” degli affetti, al servizio sociale.

Un lavoro non è un mezzo per liberare l‘uomo dalla tentazione di arruolarsi nella società del crimine e neppure per promuovere solo la sua emancipazione economica, ma per permettere alla persona di estrinsecare le sue virtù utilizzando al meglio i suoi talenti.

Un uomo che non lavora non è libero, non solo perché non ha i necessari mezzi per vivere, ma perché chi è senza lavoro non può esprimere le sue potenzialità, una società che si preoccupa di non disperdere le fonti energetiche non rinnovabili e non si preoccupa che si dissipino “energie umane”.

Questi giovani hanno compreso che è ora di rioccuparsi della “comunità civile” togliendola dalle mani dei professionisti della politica.

Tuttavia bisogna che il “professionismo gestionale” che costituisce l’attuale malattia della classe dirigente, come tutte le professioni, si riqualifichi e si riconverta, per essere in grado di attuare una grande rivoluzione politica che metta al primo posto il futuro delle nuove generazioni.

Se questo avverrà i giovani increduli, scettici cominceranno a ritrovare il filo della speranza.

Una rivoluzione che sia capace di conciliare visione economiche e visioni sociali. Certi che la produttività sociale non è una perdita, ma stenta ad emergere malgrado le profonde interconnessioni che legano tra loro mercato, stato, società civile, qualità della vita e ambiente.

13 Ottobre 2011.


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