Corrado Tocci

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Elite e fallimento etico nella seconda repubblica

LA FINE DELLA SECONDA REPUBBLICA

Questa ultima legislatura sta mostrando tutti i limiti del sistema: una politica che ha perso la sua capacità profetica; la morte dell’etica, privata e pubblica; élite che sono diventate casta, come nelle migliori corti ottocentesche; lo Stato visto come un qualcosa da rosicchiare per ottenere vantaggi personali; il fare politica non più per contribuire all’interesse generale, ma, per arricchire se stessi e il gruppo di appartenenza.

Ma l’aspetto più grave che contraddistingue il periodo è rappresentato dal considerare l’avversario politico come un nemico.

Tutti parlano, ma nessuno dialoga; tutti vogliono imporre all’altro il punto di vista quotidiano sul problema, dato che le idee cambiano ogni giorno.

I cittadini sono costretti ad assistere “alla festa dell’ovvio”, in questo bombardati dai mezzi di comunicazione, comunicazione pervasiva, abbarbicata alle indicazioni dei gruppi di appartenenza, speranzosi di onnubilare la mente dei telespettatori.

Il Presidente della Repubblica quasi quotidianamente richiama il Paese, e in special modo la classe dirigente, invitata a tenere comportamenti funzionali alla salvaguardia della democrazia e alla crescita complessiva del sistema. Purtroppo, questo sforzo non raggiunge gli obiettivi desiderati, anzi, accentua le carenze dello scenario, dato che i vari gruppi cercano di strumentalizzare a loro vantaggio i richiami all’unità, alla coerenza, all’onesta morale e intellettuale.

Come popolari cerchiamo di analizzare la situazione politica italiana e quello che potrebbe accadere a breve. Per fare questo occorre ripercorrere questo ultimo ventennio. Le inchieste di mani pulite hanno fatto emergere il sistema di corruzione interno ai partiti, e questo doveva essere eliminato. Le suddette inchieste hanno portato alla liquidazione di partiti popolari come la DC e il PSI, mentre hanno sfiorato il PC, permettendo alla sua dirigenza di riconvertirsi in altre sigle, ma lasciando intatta la nomenclatura organizzativa; i comunisti che non erano mai riusciti ad andare al Governo con libere elezioni, si sono trovati la strada spianata dalle inchieste.

Mentre la sinistra già assaporava il suo primo Governo, ecco che compare in politica Silvio Berlusconi, industriale proprietario del sistema televisivo privato italiano, l’unico in grado di fare concorrenza al sistema pubblico.

L’uomo è un industriale capace e intelligente, applica alla politica una strategia tipica della comunicazione del settore produttivo, sostituisce al prodotto da lanciare sul mercato la sua leadership. Una leadership basata sui suoi successi di imprenditore, capace di far circolare il messaggio “sono l’unico in grado di risolvere i vostri problemi, lo ho già fatto per me”.

Dalla rete di impresa si passa immediatamente alla rete politica, con la logica del marketing, dove i gruppi di interesse vanno a sostituire le sezioni dei vecchi partiti.

Questo ventennio, non fondando la politica su valori ma su interessi, ci ha fatto assistere allo sgretolamento della organizzazione sociale precedente, e al tentativo di riaggregarsi non più per interessi sociali ma per gruppi di riferimento.

Tutte le Organizzazioni rappresentative hanno voluto non più, come nella prima Repubblica, mettere propri uomini nelle liste da eleggere, ma avere un proprio partito di riferimento. Queste scelte hanno favorito lo scollamento del sistema e si è passati dal dialogo politico fondato sulla mediazione, al puro scambio di favori. Il tutto a scapito del debito pubblico.

Il problema vero del Paese è la mancanza di una opposizione in grado di fare proposte atte ad accreditarla come forza di governo alle successive elezioni. Conseguentemente le vittorie e le sconfitte ai vari turni elettorali non sono addebitabili alla debolezza delle proposte politiche ma alla capacità del leader di attirare consenso.

In questa fase stiamo assistendo alla fine, con ignominia, di una legislatura e di un’epoca politica.

Il Presidente del Consiglio è incappato in una serie di disavventure magistralmente edulcorate dalla opposizione, che in assenza di una linea politica ha messo in campo tutte le sue risorse, dalla comunicazione allo spettacolo, dai media alla satira, che quotidianamente debbono fare il lavaggio del cervello ai telespettatori per instillare l’odio contro Silvio Berlusconi, che non è più un avversario ma un nemico politico.

Molte modalità operative di queste campagne mediatiche ci ricordano vecchie tecniche tipiche di quando c’era l’inquisizione.

Nel frattempo, anche, all’interno della maggioranza molti “beneficiati” cercano il momento di gloria “alzando la voce” per dimostrare la loro esistenza.

Questo Governo nel bene e nel male, con il sostegno del Presidente della Repubblica, ha portato in porto la manovra finanziaria, anche se le varie corporazioni, mancando un sistema politico fondato sulla sussidiarietà, verticale ed orizzontale, si lamentano e pretendono che i sacrifici li facciano gli altri. Risultato di questa situazione è che il debito pubblico è figlio di nessuno, nessuno si vuol fare un esame di coscienza ripensando i benefici avuti grazie al disavanzo del bilancio pubblico.

Il Governo Berlusconi si trova nell’occhio del ciclone, lo attaccano da tutte le parti, viene dipinto come la causa di tutti i mali, la crisi del sistema è il suo peccato originale.

 Se la situazione non fosse tragica il grottesco potrebbe divertire.

Quale potrebbe essere lo scenario a breve termine? Silvio Berlusconi emula Zapatero, si ritira dalla scena politica e indice nuove elezioni, da tenere entro il primo semestre del prossimo anno. Questa scelta potrebbe significare che Silvio Berlusconi è convinto che la sua leadership ha segnato un’epoca, e che preferisce ritirarsi piuttosto che modificare la sua linea politica.

Ad un annuncio del genere solo Moliere ci può venire in aiuto per immaginare cosa potrebbe succedere.

Il trenta per cento dell’elettorato italiano si ritroverebbe senza leader, per cui in caso di elezioni, molti di costoro potrebbero disertare le urne, questa ipotesi potrebbe assegnare più valore ai voti ottenuti dalla sinistra. Ma la sinistra, una volta terminato il battage mediatico per il ritiro, come pensa di ottenere il consenso, considerato che fino ad oggi è rimasta abbarbicata ad una visione di società fordista incapace di dialogare con un sistema globalizzato.

Il coacervo delle presenze politiche nel centrodestra, che per vincere le elezioni in questi venti anni, nei momenti forti e decisivi, è dovuta ricorrere al carisma accattivante del suo leader, come si sgretolerà? Chi sarà in grado di fare da collante? Saranno capaci di proporre una politica non collegata a “interessi di bottega”? La pletora di nominati sarà in grado di ottenere il consenso per essere rieletto?

I partiti che fino ad oggi hanno fatto politica facendo circolare le intercettazioni, a dispregio della riservatezza dei cittadini, a quale attività si dedicheranno?

La storia di questo Paese ci ha dimostrato che l’utilizzo di dossier per colpire l’avversario politico non esclude che anche l’avversario politico potrebbe essere entrato in possesso di documenti scabrosi da immettere sul circuito mediatico.

La lega Nord, che ha condizionato la politica di governo imponendo scelte non sempre condivise, si dovrà ritirare nella sua Padania e dovrà ricominciare a spiegare al suo elettorato che non è più possibile fare politiche autarchiche e che il vantaggio competitivo che aveva il nord Italia scompare nel momento in cui l’Italia diventa un protettorato franco-tedesco.

Come Popolari continueremo a promuovere la Glocalizzazione, sostenendo tutte le forze giovani e capaci di rimboccarsi le maniche a dispetto di quella mentalità assistenzialistica che “ha bruciato” delle generazioni, di fatto escludendole dal processo produttivo e dal mercato del lavoro.

Come Popolari continueremo a denunciare quanto è accaduto nella seconda Repubblica, per cui la mancanza di volontà e capacità di una classe politica e dirigente che non ha voluto ascoltare i suggerimenti di decine di migliaia di imprenditori, i quali per non chiudere sono stati costretti a delocalizzare le loro imprese, ha causato all’Italia la perdita di alcuni milioni di posti di lavoro.

Poi ci lamentiamo se il PIL non cresce mentre aumenta il debito pubblico.

Novembre 2011.


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